Osip Mandel’štam, Chi trova un ferro di cavallo; Ode d’ardesia (1923)
Mario Caramitti
Chi trova un ferro di cavallo; Ode d’ardesia (1923) di Osip Mandel’štam
La pietra, sulla quale si fonda, dalla prima raccolta omonima (Kamen’, 1913), l’architettura verbale mandel’štamiana, regredisce a iponimo primordiale (la selce, kremen’), per sua connotazione semantica avulso dalla cultura, ma idoneo a stratificazioni infinite e in queste vivificabile e correlabile. Il ferro di cavallo si porta dietro dalla prima poesia un portentoso bagaglio di mutabilità nel diapason moto/stasi e solo grazie a questo richiude e raccorda la sua forma identificandosi con l’anello, contaminando però anche quello con la sua irregolarità intrinseca. L’aria e l’acqua che sono inizialmente sovrapposte, connaturate, si spostano in Ode d’ardesia su un piano maggiormente cinetico (l’aria in proiezione cosmica), ma il loro è un movimento nel quale resta sempre impressa la pastosità, la natura plasmatica da cui muovono.
Cita come:
Mario Caramitti, Osip Mandel’štam, Chi trova un ferro di cavallo; Ode d’ardesia (1923), in OpeRus: la letteratura russa attraverso le opere. Dalle origini ai nostri giorni, a cura di M.C. Bragone, M. Caramitti, R. De Giorgi, L. Rossi, S. Toscano, Wojtek Edizioni, Pomigliano d'Arco (NA) 2023-, pp. 1-40, operus.uniud.it.
ISBN 9788831476386, DOI 10.61004/OpeRus0049
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Osip Mandel’štam (1891-1938)
Quasi a realizzare in totale asincronia un sogno romantico, Mandel’štam ha saputo cogliere in maniera totalizzante gli arcani ma millesimali ingranaggi secondo cui la natura specchia i sentimenti umani.
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